L'importanza dell'equità finanziaria nella politica elettorale

di PIERANTONIO LUTRELLI - La politica non sia appannaggio esclusivo dei ricchi, ma una vera e propria opportunità per tutti. Purtroppo nella contemporaneità, affrontare una carriera politica di alto livello richiede non solo un impegno significativo, ma anche l'accesso a risorse finanziarie considerevoli per condurre una campagna elettorale efficace. Non vi è dubbio che questa realtà genera una disparità di opportunità che impedisce a individui con grandi idee, ma limitate risorse, di candidarsi per posizioni di rilievo come la carica di sindaco in una grande città o di presidente di una regione. Questa tendenza, in cui la politica sembra essere riservata solo ai ricchi, solleva a mio avviso la necessità di una riforma che assicuri un finanziamento equo per tutti i candidati, consentendo così una partecipazione democratica più inclusiva. La campagna elettorale richiede una serie di attività e risorse, dalle tradizionali manifestazioni pubbliche ai santini elettorali, ai manifesti, fino alle spese per gli eventi e i collaboratori. Tutta una serie di “spese vive”. Orbene, tutto ciò genera un considerevole onere finanziario che non tutti possono sostenere. Questo scenario crea una barriera per l'accesso alla politica per coloro che non dispongono di risorse finanziarie adeguate, limitando la diversità di idee e prospettive che potrebbero arricchire il dibattito politico.La mia proposta: una legge per l'equità finanziaria dei candidati

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Paulo Roberto Falcao: l'artefice del risveglio della Roma negli anni '80

di PIERANTONIO LUTRELLI - Gli anni '80 sono stati un periodo d'oro per il calcio italiano, e per me sono stati gli anni in cui ho iniziato a capire cosa significasse davvero questo sport. Il primo campionato che ho seguito con passione è stato quello del 1980-81, un'annata che ha segnato l'inizio di una nuova era per la Roma, guidata dall'allenatore svedese Nils Liedholm. La Roma, fino all'anno precedente, era sempre stata considerata una squadra di media classifica, ma in quell'anno qualcosa stava per cambiare. La Figc decise di aprire le frontiere, permettendo ai club di acquistare calciatori stranieri. Fu in questo contesto che la Roma si distinse, acquistando il brasiliano Paulo Roberto Falcao, un giocatore relativamente sconosciuto in Europa, ma che gli astuti osservatori della Roma - guidata dal grande presidente Dino Viola -avevano individuato in Brasile. Ed è proprio a lui che dedico questo post in occasione del suo settantesimo compleanno, avvenuto lo scorso 16 ottobre. Falcao aveva 27 anni, ma un'esperienza da veterano e una classe immensa. Nel centrocampo, conferiva sicurezza a tutta la squadra e in poco tempo divenne l'uomo di fiducia dell'allenatore. "È Falcao che dirige l'orchestra in campo. Io, al massimo, qualche volta gli scrivo la musica o arrangio lo spartito seguendo certe idee", diceva a quei tempi il compianto Liedholm, rendendo molto bene l'idea. Era un calciatore completo: ambidestro, forte di testa, dotato di grandi doti nel dribbling, ottimo controllo di palla. Sapeva proteggere la difesa facendo il difensore aggiunto ed allo stesso tempo attaccare. Aveva visione di gioco e capacità di finalizzare goal importanti. Indossava la maglia numero 5, un numero solitamente assegnato agli stopper, ma lui, che non era uno stopper, l'aveva scelto come suo distintivo personale. Dimostrando anche qui di essere molto avanti con i tempi. Ancora oggi, quando vedo un calciatore della Roma con la maglia numero 5, mi emoziona pensare che quella sia stata la maglia di Falcao. Il calciatore brasiliano di Porto Alegre fu così abile nel cambiare la mentalità della squadra e nel farla crescere, che la Roma iniziò subito a lottare per lo scudetto, e ci riuscì quasi. Fu solo per un goal annullato di Turone che la Juventus riuscì a sancire la sua vittoria, poiché nello scontro diretto alla penultima giornata di campionato la partita finì a zero a zero tra le polemiche che non si placano nonostante siano passati 43 anni. A fine stagione, la Juve terminò con 44 punti e la Roma con 42 punti. Falcao si era guadagnato l'appellativo di "Ottavo Re di Roma" e aveva infuso un grande entusiasmo in tutta la città. Per lo scudetto bisognerà attendere il 1983, ma la cosa che più mi ha colpito è che quando lui era in campo, tutti noi bambini che tifavamo per la squadra, ci sentivamo parte di qualcosa di più grande. Era un qualcosa che andava oltre il calcio. Aveva il sapore del riscatto. Vincere in maniera non facile, non scontata, ha un sapore molto più importante di quando si è abituati a vincere sempre e a vincere facilmente. Fu proprio da bambino seguendo la Roma che mi accorsi di non essere "vincentista". Paulo Roberto Falcao era il rappresentante di un mondo povero veniva da quel sud del mondo, ma aveva saputo riscattarsi e portare una squadra non abituata a vincere sul tetto d'Italia e d'Europa.

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Giorgia Meloni: Un plauso alla determinazione e al coraggio della premier

di PIERANTONIO LUTRELLI - Giorgia Meloni, la prima donna nella storia della Repubblica Italiana a ricoprire la carica di premier, merita un plauso per la sua determinazione e il suo coraggio nel prendere una decisione difficile nella sua vita personale: dichiarare finita la relazione con il giornalista milanese Andrea Giambruno padre di sua figlia Ginevra di 7 anni. Nonostante le sue umili origini e le sfide che ha affrontato lungo il suo percorso, Meloni ha dimostrato di essere una figura di grande risolutezza. Come quando disse a Berlusconi “Non sono ricattabile”. In un mondo dove spesso le figure politiche si nascondono dietro le convenzioni e le apparenze, Meloni si distingue per la sua autenticità e la sua volontà di affrontare le difficoltà senza paura. La sua carriera politica è un esempio di come la determinazione e il decisionismo possono portare a risultati straordinari. Nonostante le limitazioni economiche e la mancanza di opportunità che caratterizzavano la sua famiglia di origine (ha iniziato a lavorare presto e non ha fatto l’università, pur essendo la prima della classe nei 5 anni di Liceo linguistico frequentati) Meloni è riuscita a diventare la leader del suo partito, Fratelli d'Italia, vincendo la competizione interna e portandolo a diventare il primo partito della coalizione di centrodestra diventata maggioranza di governo. Il suo ingresso a Palazzo Chigi è stato infatti il risultato di un percorso di successo basato su una visione politica forte e una volontà incrollabile. Nonostante le critiche e le sfide, Meloni ha dimostrato di non essere ricattabile, come ha ribadito in passato, e ha fatto della sua determinazione una caratteristica centrale della sua leadership. Ha preso una decisione coraggiosa nella sua vita privata, decidendo di lasciare il suo compagno. Questa scelta è stata accompagnata da infelici episodi fuori onda di cui Giambruno – giornalista Mediaset – si è reso protagonista durante le pause del suo programma che conduceva (già conduceva) su Rete4. Questi fuori onda sono stati registrati e riproposti dal programma anch’esso in onda sulle reti Mediaset, in questo caso Canale5, Striscia la notizia. Nonostante il dolore e la difficoltà che questa situazione comporta, Meloni ha deciso di affrontare pubblicamente la vicenda, mostrando la sua coerenza. Al di là delle opinioni politiche, è importante riconoscere la forza e il coraggio di Giorgia Meloni nel prendere una decisione difficile. Proprio per queste ragioni la sua determinazione nel perseguire i suoi obiettivi politici e il suo coraggio nel fronteggiare le sfide personali sono meritevoli di plauso.

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La politica non dovrebbe essere una professione

di PIERANTONIO LUTRELLI - Nel contesto politico attuale, emerge una critica che mette in discussione l'idea che l'impegno politico debba coincidere con la vita fisica di un individuo. Questo articolo mira a esplorare tale questione, sottolineando la necessità di un rinnovamento per promuovere il coinvolgimento di nuove figure nella sfera politica.

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Nel nome di Verona, si intrecciano le storie di Tommasi e Volpati. Ex calciatori, uno è sindaco, l'altro medico dentista

di PIERANTONIO LUTRELLI - Verona, una città ricca di storia e di storie che si intrecciano. In questa affascinante cornice, due nomi emergono come simboli di integrità e talento: Damiano Tommasi e Domenico Volpati. Nonostante le loro diverse sfere d'azione, e la diversa generazione, entrambi rappresentano l'eccellenza e l'impegno sia durante la vita da calciatori e sia dopo. Domenico Volpati, nato a Novara il 19 agosto 1951 ha giocato nell’Hellas Verona dal 1982 al 1988. Ha lasciato un segno indelebile nel calcio veronese, ovviamente e soprattutto grazie al fatto che è stato tra i vincitori dello scudetto nel 1985. Era il mitico Verona allenato da Osvaldo Bagnoli che predicava catenaccio e verticalizzazioni improvvise che davano vita a contropiedi micidiali. A vittorie inaspettate. In quell’anno tutti fecero i conti con il Verona. Erano gli anni del libero staccato dietro la difesa. Erano gli anni in cui il calcio aveva ancora il sapore nostrano della fatica e della normalità. Il calcio che sfornava fuoriclasse all’oratorio e nei campi sterrati della provincia italiana. In questo contesto il nostro Volpati ha mostrato una dedizione inesauribile verso il calcio. Nonostante fosse già un veterano a 34 anni, ha vinto lo scudetto con la squadra scaligera, dimostrando che l'età è solo un numero quando si è guidati dalla passione e dalla determinazione. La sua presenza in campo era sinonimo di esperienza e saggezza, un faro per i giovani talenti che lo circondavano. E in quegli anni, a 34 anni si era dei “vecchietti” a fine carriera. Volpati aveva forza ed energia. Era un mediano difensivo senza pretese apparentemente, ma invece si fece valere. A differenza di molti ex calciatori non ha avuto uno sbocco nel mondo del calcio. Ha invece deciso di laurearsi in medicina, e poi specializzandosi in odontoiatria, si è trasferito a Termeno in provincia di Bolzano dove per 28 anni ha svolto l'attività di dentista fino al 2019. Ma un medico lo è per tutta la vita. Così nel 2021, vista la necessità di medici vaccinatori per la pandemia in atto, ha ripreso volontariamente il servizio presso il centro vaccinale sul Lago di Tesero. Damiano Tommasi, invece, ha lasciato il suo segno sia nel mondo del calcio che nella sfera politica. Nato a Negrar di Valpolicella il 17 maggio 1974 a 12 Km da Verona, dopo una brillante carriera da calciatore, coronata dal titolo di campione d'Italia con la Roma nel 2001, ha deciso di intraprendere una nuova sfida: la politica. Il suo impegno e la sua dedizione lo hanno portato nel 2022 a sconfiggere con il 53% dei voti al ballottaggio, il sindaco uscente Federico Sboarina, avversario di centrodestra nelle elezioni comunali di Verona, diventando a sua volta il sindaco della città. La sua integrità e la sua passione per il servizio pubblico sono un esempio per tutti coloro che credono nel potere del cambiamento e dell'onestà. In precedenza, aveva svolto il ruolo di presidente nazionale dell’Associazione Italiana calciatori, carica detenuta per molti anni dal mitico Sergio Campana. Tommasi nel campionato 2000-2001, quello dello scudetto con Fabio Capello, fece una stagione strepitosa. Fu il migliore della Roma per rendimento, correva, rubava palloni, costruiva, faceva goal, assist, spogliatoio, gruppo e tutto questo con la serietà che in un ragazzo di 27 anni sorprendeva. Un ragazzo pulito. Una persona che al solo guardarlo in faccia ti ispirava fiducia. Di quelli a cui lasceresti le chiavi di casa senza pensarci due volte appena lo conosci. Di quelli che pur potendosi permettere tutto ha mantenuto i piedi per terra. E oggi alla soglia dei cinquant’anni è un marito e un padre premuroso con i suoi sei figli. Soprattutto un sindaco attento. Nella terra di Zaia, in cui la Liga è fortissima, solo una persona brava e famosa come il Damiano romanista poteva far vincere il centrosinistra alle comunali. Bella storia. Se da sindaco mostra la stessa correttezza e serietà che ha adottato in campo, i cittadini possono dormire sonni tranquilli. Volpati e Tommasi, Domenico e Damiano, due ragazzi della provincia italiana che nella vita hanno dimostrato che pur amando il calcio visceralmente, si possa andare oltre e servire il prossimo con onestà e versatilità anche in altri ambiti. In entrambi questi uomini, l'impegno, la dedizione, l'integrità e il rispetto sono cardini fondamentali della loro esistenza. Sia Volpati che Tommasi hanno dimostrato di essere non solo grandi talenti nelle rispettive aree di competenza, ma anche persone di grande umanità e generosità. Entrambi hanno messo il loro talento e la loro passione al servizio della comunità. Tante similitudini fra i due: Volpati non è di Verona ma ha vinto lo scudetto a Verona, Tommasi che è di Verona ha vinto lo scudetto a Roma, ma a Verona è tornato a fare il sindaco. Due bravi ragazzi talentuosi e di fatica, seri e rispettosi del prossimo, persone perbene e vere perle della storia del nostro calcio. In una sola parola: un esempio.

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Il calcio come veicolo di socializzazione, riscatto e unione nazionale: l'arte cinematografica di Paolo Sorrentino e l'esultanza di Sandro Pertini

di PIERANTONIO LUTRELLI - Il calcio rappresenta un grande veicolo di socializzazione, riscatto e unione nazionale. Va oltre il rettangolo di gioco. Molto oltre. Finisce ovunque. Anche al cinema di qualità. Basti pensare a Paolo Sorrentino, regista napoletano e grande tifoso di Maradona, che ha dedicato il suo film del 2021 "È stata la mano di Dio" al leggendario calciatore argentino. Questa pellicola, presentata alla 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, racconta la storia di una giovane promessa del calcio napoletano e celebra l'importanza del calcio nella vita delle persone. Il calcio è immenso. Basta ricordare che un momento significativo che ha dimostrato il potere di questo sport di unire il popolo italiano è stata la vittoria della Nazionale italiana nel Mondiale del 1982. Durante la finale al Santiago Bernabeu di Madrid, il Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, un ex partigiano e uomo di sinistra, ha esultato con entusiasmo per la vittoria dell'Italia per 3-1 contro la Germania. Quel gesto ha dimostrato come il calcio possa superare le differenze ideologiche e creare un senso di unità nazionale. Il calcio non è solo una distrazione, ma un mezzo di socializzazione e riscatto. Durante le grandi competizioni internazionali, come i Mondiali, le persone di diverse estrazioni sociali e politiche si ritrovano unite nello stesso entusiasmo e nella stessa passione per la propria nazionale. Questo sport è in grado di superare le divisioni e creare un senso di appartenenza e solidarietà. Tornando a Sorrentino, con la sua abilità cinematografica, ha catturato l'essenza di questa passione calcistica e ha trasferito emozioni profonde attraverso il suo film. Ha dimostrato come il calcio possa essere un veicolo di riscatto e unione, celebrando l'eredità di Maradona e il suo impatto sulla società e sul calcio italiano. Non vi è dubbio alcuno che il calcio rappresenta molto più di uno sport. Il film di Paolo Sorrentino "È stata la mano di Dio" e l'esultanza di Sandro Pertini nel Mondiale del 1982 sono esempi di come il calcio possa superare le barriere sociali e politiche, unendo le persone in momenti di gioia e coesione nazionale.

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Il potere del segretario nazionale: il sistema elettorale italiano e la mancanza di autonomia alla base dei partiti

di Pierantonio Lutrelli - Negli ultimi anni, è emerso un fenomeno preoccupante all'interno dei partiti politici italiani: la tendenza a evitare di scontentare il segretario nazionale. Questo accade perché coloro che si mettono contro il leader rischiano di essere esclusi dalle future candidature. Questo sistema ha radici profonde nel contesto elettorale italiano, caratterizzato da liste bloccate senza preferenze e collegi uninominali, dove il potere decisionale si concentra principalmente nelle mani dei leader e della capitale, Roma. Dall'entrata in vigore del sistema elettorale attuale nel 2006, (da Porcellum a Rosatellum cambia solo la quota marginale dei collegi) la voce dei cittadini all'interno dei partiti politici è stata notevolmente ridimensionata. La base ha poco o niente potere decisionale sulle scelte e sulle candidature, mentre i leader nazionali e i vertici dei partiti hanno il controllo quasi totale sul processo decisionale. Questa situazione solleva una serie di interrogativi sul funzionamento della democrazia interna ai partiti. Sebbene sia importante che i partiti siano organizzati e guidati da una leadership forte, è altrettanto fondamentale garantire la partecipazione attiva dei membri e la possibilità di influenzare le decisioni. Tuttavia, nel sistema attuale, la voce dei membri di base viene spesso soffocata da una cultura di conformità e obbedienza nei confronti del segretario nazionale. La ragione principale per cui questo sistema è ben accetto da tutti è la mancanza di incentivi per cambiare. I vertici dei partiti, inclusi i segretari nazionali, beneficiano enormemente da un sistema che consolida il loro potere e limita la concorrenza interna. Il mantenimento dello status quo garantisce loro un controllo stabile e una maggiore sicurezza nelle future elezioni. Tuttavia, questa situazione limita la rappresentatività dei partiti e sminuisce il ruolo dei membri di base. L'assenza di meccanismi di selezione democratica per le candidature può portare a una mancanza di diversità e ad una scarsa rappresentanza dei vari interessi all'interno dei partiti. Ciò può indebolire la democrazia interna e minare la fiducia dei cittadini nella politica. Per superare questa situazione, sarebbe necessario un cambiamento radicale nel sistema elettorale italiano, con l'introduzione di meccanismi di selezione delle candidature più inclusivi e trasparenti. Inoltre, sarebbe importante promuovere una cultura politica che valorizzi la partecipazione attiva dei membri di base e incoraggi la diversità di opinioni e la competizione interna. Il sistema elettorale italiano, con le sue liste bloccate senza preferenze e i collegi uninominali, contribuisce a creare un ambiente in cui i membri dei partiti tendono a evitare di scontentare il segretario nazionale per non compromettere le proprie opportunità di candidatura. Ciò limita la democrazia interna e la rappresentatività dei partiti, e richiede un dibattito approfondito sulla necessità di riforme per garantire una maggiore partecipazione e un sistema politico più inclusivo. 

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Perché Neymar per me è il Numero 1

di PIERANTONIO LUTRELLI - Un calciatore deve infiammare il pubblico. Neymar ne è capace. Tutti noi quando abbiamo iniziato a giocare a calcio abbiamo sempre ammirato i più bravi tecnicamente. Quelli capaci di dare del tu alla palla. Chiaro che il calcio è un gioco collettivo. I tanti interessi economici che vi ruotano intorno impediscono a volte di prediligere aspetti romantici. A me piace immaginare un calcio che forse non esiste più. Non importa. Contano i risultati di bilancio. Le bacheche. Le vittorie. Certo. Al pubblico che corre allo stadio o si abbona alle payTv nessuno ci pensa. I tifosi esultano e festeggiano solo se si vince. Legittimo. Sarà che sono tifoso di una squadra, la Roma, che vince poco - pochissimo direi - ma da sempre ho orientato la mia visione del calcio sullo spettacolo che questi è capace di offrire. A quello che può dare anche senza un campionato o una coppa vinta. Mi annoio quando una gara annoia. Non ci posso far nulla. Mi sono divertito di più con la Roma di Totti e Cassano senza trofei che con l'Italia vincitrice del mondiale del 2006. Neymar, per tornare a lui, rappresenta questa filosofia: il fuoriclasse che rende felici le persone che hanno pagato il biglietto. Devo essere sincero ne ho visti tanti di fenomeni, ce ne sarebbero e un giorno ne parliamo, ma come questo calciatore pochi. Eppure Maradona l'ho visto giocare, Ronaldo il fenomeno anche. Messi in tv. Ronaldinho mi piaceva molto non c'è dubbio. Mi piaceva Zidane, anche più di Totti. Ecco l'ho detto. Il Brescia di Roberto Baggio era fantastico. Non ha vinto niente, ma aveva una magia. Un perché. Il Brasile sempre. Tranne quello del '94 eppure ha vinto la Coppa del Mondo. Romario era accettabile, Bebeto era improponibile. Altra storia il Brasile 1982. L'Italia fantastica li ha battuti 3-2. Un sogno. Quel Brasile aveva una flotta di centrocampisti assortiti da paura: Socrates, Falcao, Cerezo, Junior, Zico ed Eder. Fate voi che squadrone. Vi invito a guardare Neymar nei particolari. E' furbo. Non subisce facilmente fallo. Gioca la palla a terra e salta 6-7 avversari come birilli. Forte fisicamente al punto da non temere falciate alcune. Uno spettacolo.

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L'importanza dell'equità finanziaria nella politica elettorale

di PIERANTONIO LUTRELLI - La politica non sia appannaggio esclusivo dei ricchi, ma una vera e propria opportunità per tutti. Purtroppo nella contemporaneità, affrontare una carriera politica di alto livello richiede non solo un impegno significativo, ma anche l'accesso a risorse finanziarie considerevoli per condurre una campagna elettorale efficace. Non vi è dubbio che questa realtà genera una disparità di opportunità che impedisce a individui con grandi idee, ma limitate risorse, di candidarsi per posizioni di rilievo come la carica di sindaco in una grande città o di presidente di una regione. Questa tendenza, in cui la politica sembra essere riservata solo ai ricchi, solleva a mio avviso la necessità di una riforma che assicuri un finanziamento equo per tutti i candidati, consentendo così una partecipazione democratica più inclusiva. La campagna elettorale richiede una serie di attività e risorse, dalle tradizionali manifestazioni pubbliche ai santini elettorali, ai manifesti, fino alle spese per gli eventi e i collaboratori. Tutta una serie di “spese vive”. Orbene, tutto ciò genera un considerevole onere finanziario che non tutti possono sostenere. Questo scenario crea una barriera per l'accesso alla politica per coloro che non dispongono di risorse finanziarie adeguate, limitando la diversità di idee e prospettive che potrebbero arricchire il dibattito politico.La mia proposta: una legge per l'equità finanziaria dei candidati

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Paulo Roberto Falcao: l'artefice del risveglio della Roma negli anni '80

di PIERANTONIO LUTRELLI - Gli anni '80 sono stati un periodo d'oro per il calcio italiano, e per me sono stati gli anni in cui ho iniziato a capire cosa significasse davvero questo sport. Il primo campionato che ho seguito con passione è stato quello del 1980-81, un'annata che ha segnato l'inizio di una nuova era per la Roma, guidata dall'allenatore svedese Nils Liedholm. La Roma, fino all'anno precedente, era sempre stata considerata una squadra di media classifica, ma in quell'anno qualcosa stava per cambiare. La Figc decise di aprire le frontiere, permettendo ai club di acquistare calciatori stranieri. Fu in questo contesto che la Roma si distinse, acquistando il brasiliano Paulo Roberto Falcao, un giocatore relativamente sconosciuto in Europa, ma che gli astuti osservatori della Roma - guidata dal grande presidente Dino Viola -avevano individuato in Brasile. Ed è proprio a lui che dedico questo post in occasione del suo settantesimo compleanno, avvenuto lo scorso 16 ottobre. Falcao aveva 27 anni, ma un'esperienza da veterano e una classe immensa. Nel centrocampo, conferiva sicurezza a tutta la squadra e in poco tempo divenne l'uomo di fiducia dell'allenatore. "È Falcao che dirige l'orchestra in campo. Io, al massimo, qualche volta gli scrivo la musica o arrangio lo spartito seguendo certe idee", diceva a quei tempi il compianto Liedholm, rendendo molto bene l'idea. Era un calciatore completo: ambidestro, forte di testa, dotato di grandi doti nel dribbling, ottimo controllo di palla. Sapeva proteggere la difesa facendo il difensore aggiunto ed allo stesso tempo attaccare. Aveva visione di gioco e capacità di finalizzare goal importanti. Indossava la maglia numero 5, un numero solitamente assegnato agli stopper, ma lui, che non era uno stopper, l'aveva scelto come suo distintivo personale. Dimostrando anche qui di essere molto avanti con i tempi. Ancora oggi, quando vedo un calciatore della Roma con la maglia numero 5, mi emoziona pensare che quella sia stata la maglia di Falcao. Il calciatore brasiliano di Porto Alegre fu così abile nel cambiare la mentalità della squadra e nel farla crescere, che la Roma iniziò subito a lottare per lo scudetto, e ci riuscì quasi. Fu solo per un goal annullato di Turone che la Juventus riuscì a sancire la sua vittoria, poiché nello scontro diretto alla penultima giornata di campionato la partita finì a zero a zero tra le polemiche che non si placano nonostante siano passati 43 anni. A fine stagione, la Juve terminò con 44 punti e la Roma con 42 punti. Falcao si era guadagnato l'appellativo di "Ottavo Re di Roma" e aveva infuso un grande entusiasmo in tutta la città. Per lo scudetto bisognerà attendere il 1983, ma la cosa che più mi ha colpito è che quando lui era in campo, tutti noi bambini che tifavamo per la squadra, ci sentivamo parte di qualcosa di più grande. Era un qualcosa che andava oltre il calcio. Aveva il sapore del riscatto. Vincere in maniera non facile, non scontata, ha un sapore molto più importante di quando si è abituati a vincere sempre e a vincere facilmente. Fu proprio da bambino seguendo la Roma che mi accorsi di non essere "vincentista". Paulo Roberto Falcao era il rappresentante di un mondo povero veniva da quel sud del mondo, ma aveva saputo riscattarsi e portare una squadra non abituata a vincere sul tetto d'Italia e d'Europa.

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Giorgia Meloni: Un plauso alla determinazione e al coraggio della premier

di PIERANTONIO LUTRELLI - Giorgia Meloni, la prima donna nella storia della Repubblica Italiana a ricoprire la carica di premier, merita un plauso per la sua determinazione e il suo coraggio nel prendere una decisione difficile nella sua vita personale: dichiarare finita la relazione con il giornalista milanese Andrea Giambruno padre di sua figlia Ginevra di 7 anni. Nonostante le sue umili origini e le sfide che ha affrontato lungo il suo percorso, Meloni ha dimostrato di essere una figura di grande risolutezza. Come quando disse a Berlusconi “Non sono ricattabile”. In un mondo dove spesso le figure politiche si nascondono dietro le convenzioni e le apparenze, Meloni si distingue per la sua autenticità e la sua volontà di affrontare le difficoltà senza paura. La sua carriera politica è un esempio di come la determinazione e il decisionismo possono portare a risultati straordinari. Nonostante le limitazioni economiche e la mancanza di opportunità che caratterizzavano la sua famiglia di origine (ha iniziato a lavorare presto e non ha fatto l’università, pur essendo la prima della classe nei 5 anni di Liceo linguistico frequentati) Meloni è riuscita a diventare la leader del suo partito, Fratelli d'Italia, vincendo la competizione interna e portandolo a diventare il primo partito della coalizione di centrodestra diventata maggioranza di governo. Il suo ingresso a Palazzo Chigi è stato infatti il risultato di un percorso di successo basato su una visione politica forte e una volontà incrollabile. Nonostante le critiche e le sfide, Meloni ha dimostrato di non essere ricattabile, come ha ribadito in passato, e ha fatto della sua determinazione una caratteristica centrale della sua leadership. Ha preso una decisione coraggiosa nella sua vita privata, decidendo di lasciare il suo compagno. Questa scelta è stata accompagnata da infelici episodi fuori onda di cui Giambruno – giornalista Mediaset – si è reso protagonista durante le pause del suo programma che conduceva (già conduceva) su Rete4. Questi fuori onda sono stati registrati e riproposti dal programma anch’esso in onda sulle reti Mediaset, in questo caso Canale5, Striscia la notizia. Nonostante il dolore e la difficoltà che questa situazione comporta, Meloni ha deciso di affrontare pubblicamente la vicenda, mostrando la sua coerenza. Al di là delle opinioni politiche, è importante riconoscere la forza e il coraggio di Giorgia Meloni nel prendere una decisione difficile. Proprio per queste ragioni la sua determinazione nel perseguire i suoi obiettivi politici e il suo coraggio nel fronteggiare le sfide personali sono meritevoli di plauso.

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La politica non dovrebbe essere una professione

di PIERANTONIO LUTRELLI - Nel contesto politico attuale, emerge una critica che mette in discussione l'idea che l'impegno politico debba coincidere con la vita fisica di un individuo. Questo articolo mira a esplorare tale questione, sottolineando la necessità di un rinnovamento per promuovere il coinvolgimento di nuove figure nella sfera politica.

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Nel nome di Verona, si intrecciano le storie di Tommasi e Volpati. Ex calciatori, uno è sindaco, l'altro medico dentista

di PIERANTONIO LUTRELLI - Verona, una città ricca di storia e di storie che si intrecciano. In questa affascinante cornice, due nomi emergono come simboli di integrità e talento: Damiano Tommasi e Domenico Volpati. Nonostante le loro diverse sfere d'azione, e la diversa generazione, entrambi rappresentano l'eccellenza e l'impegno sia durante la vita da calciatori e sia dopo. Domenico Volpati, nato a Novara il 19 agosto 1951 ha giocato nell’Hellas Verona dal 1982 al 1988. Ha lasciato un segno indelebile nel calcio veronese, ovviamente e soprattutto grazie al fatto che è stato tra i vincitori dello scudetto nel 1985. Era il mitico Verona allenato da Osvaldo Bagnoli che predicava catenaccio e verticalizzazioni improvvise che davano vita a contropiedi micidiali. A vittorie inaspettate. In quell’anno tutti fecero i conti con il Verona. Erano gli anni del libero staccato dietro la difesa. Erano gli anni in cui il calcio aveva ancora il sapore nostrano della fatica e della normalità. Il calcio che sfornava fuoriclasse all’oratorio e nei campi sterrati della provincia italiana. In questo contesto il nostro Volpati ha mostrato una dedizione inesauribile verso il calcio. Nonostante fosse già un veterano a 34 anni, ha vinto lo scudetto con la squadra scaligera, dimostrando che l'età è solo un numero quando si è guidati dalla passione e dalla determinazione. La sua presenza in campo era sinonimo di esperienza e saggezza, un faro per i giovani talenti che lo circondavano. E in quegli anni, a 34 anni si era dei “vecchietti” a fine carriera. Volpati aveva forza ed energia. Era un mediano difensivo senza pretese apparentemente, ma invece si fece valere. A differenza di molti ex calciatori non ha avuto uno sbocco nel mondo del calcio. Ha invece deciso di laurearsi in medicina, e poi specializzandosi in odontoiatria, si è trasferito a Termeno in provincia di Bolzano dove per 28 anni ha svolto l'attività di dentista fino al 2019. Ma un medico lo è per tutta la vita. Così nel 2021, vista la necessità di medici vaccinatori per la pandemia in atto, ha ripreso volontariamente il servizio presso il centro vaccinale sul Lago di Tesero. Damiano Tommasi, invece, ha lasciato il suo segno sia nel mondo del calcio che nella sfera politica. Nato a Negrar di Valpolicella il 17 maggio 1974 a 12 Km da Verona, dopo una brillante carriera da calciatore, coronata dal titolo di campione d'Italia con la Roma nel 2001, ha deciso di intraprendere una nuova sfida: la politica. Il suo impegno e la sua dedizione lo hanno portato nel 2022 a sconfiggere con il 53% dei voti al ballottaggio, il sindaco uscente Federico Sboarina, avversario di centrodestra nelle elezioni comunali di Verona, diventando a sua volta il sindaco della città. La sua integrità e la sua passione per il servizio pubblico sono un esempio per tutti coloro che credono nel potere del cambiamento e dell'onestà. In precedenza, aveva svolto il ruolo di presidente nazionale dell’Associazione Italiana calciatori, carica detenuta per molti anni dal mitico Sergio Campana. Tommasi nel campionato 2000-2001, quello dello scudetto con Fabio Capello, fece una stagione strepitosa. Fu il migliore della Roma per rendimento, correva, rubava palloni, costruiva, faceva goal, assist, spogliatoio, gruppo e tutto questo con la serietà che in un ragazzo di 27 anni sorprendeva. Un ragazzo pulito. Una persona che al solo guardarlo in faccia ti ispirava fiducia. Di quelli a cui lasceresti le chiavi di casa senza pensarci due volte appena lo conosci. Di quelli che pur potendosi permettere tutto ha mantenuto i piedi per terra. E oggi alla soglia dei cinquant’anni è un marito e un padre premuroso con i suoi sei figli. Soprattutto un sindaco attento. Nella terra di Zaia, in cui la Liga è fortissima, solo una persona brava e famosa come il Damiano romanista poteva far vincere il centrosinistra alle comunali. Bella storia. Se da sindaco mostra la stessa correttezza e serietà che ha adottato in campo, i cittadini possono dormire sonni tranquilli. Volpati e Tommasi, Domenico e Damiano, due ragazzi della provincia italiana che nella vita hanno dimostrato che pur amando il calcio visceralmente, si possa andare oltre e servire il prossimo con onestà e versatilità anche in altri ambiti. In entrambi questi uomini, l'impegno, la dedizione, l'integrità e il rispetto sono cardini fondamentali della loro esistenza. Sia Volpati che Tommasi hanno dimostrato di essere non solo grandi talenti nelle rispettive aree di competenza, ma anche persone di grande umanità e generosità. Entrambi hanno messo il loro talento e la loro passione al servizio della comunità. Tante similitudini fra i due: Volpati non è di Verona ma ha vinto lo scudetto a Verona, Tommasi che è di Verona ha vinto lo scudetto a Roma, ma a Verona è tornato a fare il sindaco. Due bravi ragazzi talentuosi e di fatica, seri e rispettosi del prossimo, persone perbene e vere perle della storia del nostro calcio. In una sola parola: un esempio.

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Il calcio come veicolo di socializzazione, riscatto e unione nazionale: l'arte cinematografica di Paolo Sorrentino e l'esultanza di Sandro Pertini

di PIERANTONIO LUTRELLI - Il calcio rappresenta un grande veicolo di socializzazione, riscatto e unione nazionale. Va oltre il rettangolo di gioco. Molto oltre. Finisce ovunque. Anche al cinema di qualità. Basti pensare a Paolo Sorrentino, regista napoletano e grande tifoso di Maradona, che ha dedicato il suo film del 2021 "È stata la mano di Dio" al leggendario calciatore argentino. Questa pellicola, presentata alla 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, racconta la storia di una giovane promessa del calcio napoletano e celebra l'importanza del calcio nella vita delle persone. Il calcio è immenso. Basta ricordare che un momento significativo che ha dimostrato il potere di questo sport di unire il popolo italiano è stata la vittoria della Nazionale italiana nel Mondiale del 1982. Durante la finale al Santiago Bernabeu di Madrid, il Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, un ex partigiano e uomo di sinistra, ha esultato con entusiasmo per la vittoria dell'Italia per 3-1 contro la Germania. Quel gesto ha dimostrato come il calcio possa superare le differenze ideologiche e creare un senso di unità nazionale. Il calcio non è solo una distrazione, ma un mezzo di socializzazione e riscatto. Durante le grandi competizioni internazionali, come i Mondiali, le persone di diverse estrazioni sociali e politiche si ritrovano unite nello stesso entusiasmo e nella stessa passione per la propria nazionale. Questo sport è in grado di superare le divisioni e creare un senso di appartenenza e solidarietà. Tornando a Sorrentino, con la sua abilità cinematografica, ha catturato l'essenza di questa passione calcistica e ha trasferito emozioni profonde attraverso il suo film. Ha dimostrato come il calcio possa essere un veicolo di riscatto e unione, celebrando l'eredità di Maradona e il suo impatto sulla società e sul calcio italiano. Non vi è dubbio alcuno che il calcio rappresenta molto più di uno sport. Il film di Paolo Sorrentino "È stata la mano di Dio" e l'esultanza di Sandro Pertini nel Mondiale del 1982 sono esempi di come il calcio possa superare le barriere sociali e politiche, unendo le persone in momenti di gioia e coesione nazionale.

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Il potere del segretario nazionale: il sistema elettorale italiano e la mancanza di autonomia alla base dei partiti

di Pierantonio Lutrelli - Negli ultimi anni, è emerso un fenomeno preoccupante all'interno dei partiti politici italiani: la tendenza a evitare di scontentare il segretario nazionale. Questo accade perché coloro che si mettono contro il leader rischiano di essere esclusi dalle future candidature. Questo sistema ha radici profonde nel contesto elettorale italiano, caratterizzato da liste bloccate senza preferenze e collegi uninominali, dove il potere decisionale si concentra principalmente nelle mani dei leader e della capitale, Roma. Dall'entrata in vigore del sistema elettorale attuale nel 2006, (da Porcellum a Rosatellum cambia solo la quota marginale dei collegi) la voce dei cittadini all'interno dei partiti politici è stata notevolmente ridimensionata. La base ha poco o niente potere decisionale sulle scelte e sulle candidature, mentre i leader nazionali e i vertici dei partiti hanno il controllo quasi totale sul processo decisionale. Questa situazione solleva una serie di interrogativi sul funzionamento della democrazia interna ai partiti. Sebbene sia importante che i partiti siano organizzati e guidati da una leadership forte, è altrettanto fondamentale garantire la partecipazione attiva dei membri e la possibilità di influenzare le decisioni. Tuttavia, nel sistema attuale, la voce dei membri di base viene spesso soffocata da una cultura di conformità e obbedienza nei confronti del segretario nazionale. La ragione principale per cui questo sistema è ben accetto da tutti è la mancanza di incentivi per cambiare. I vertici dei partiti, inclusi i segretari nazionali, beneficiano enormemente da un sistema che consolida il loro potere e limita la concorrenza interna. Il mantenimento dello status quo garantisce loro un controllo stabile e una maggiore sicurezza nelle future elezioni. Tuttavia, questa situazione limita la rappresentatività dei partiti e sminuisce il ruolo dei membri di base. L'assenza di meccanismi di selezione democratica per le candidature può portare a una mancanza di diversità e ad una scarsa rappresentanza dei vari interessi all'interno dei partiti. Ciò può indebolire la democrazia interna e minare la fiducia dei cittadini nella politica. Per superare questa situazione, sarebbe necessario un cambiamento radicale nel sistema elettorale italiano, con l'introduzione di meccanismi di selezione delle candidature più inclusivi e trasparenti. Inoltre, sarebbe importante promuovere una cultura politica che valorizzi la partecipazione attiva dei membri di base e incoraggi la diversità di opinioni e la competizione interna. Il sistema elettorale italiano, con le sue liste bloccate senza preferenze e i collegi uninominali, contribuisce a creare un ambiente in cui i membri dei partiti tendono a evitare di scontentare il segretario nazionale per non compromettere le proprie opportunità di candidatura. Ciò limita la democrazia interna e la rappresentatività dei partiti, e richiede un dibattito approfondito sulla necessità di riforme per garantire una maggiore partecipazione e un sistema politico più inclusivo. 

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Perché Neymar per me è il Numero 1

di PIERANTONIO LUTRELLI - Un calciatore deve infiammare il pubblico. Neymar ne è capace. Tutti noi quando abbiamo iniziato a giocare a calcio abbiamo sempre ammirato i più bravi tecnicamente. Quelli capaci di dare del tu alla palla. Chiaro che il calcio è un gioco collettivo. I tanti interessi economici che vi ruotano intorno impediscono a volte di prediligere aspetti romantici. A me piace immaginare un calcio che forse non esiste più. Non importa. Contano i risultati di bilancio. Le bacheche. Le vittorie. Certo. Al pubblico che corre allo stadio o si abbona alle payTv nessuno ci pensa. I tifosi esultano e festeggiano solo se si vince. Legittimo. Sarà che sono tifoso di una squadra, la Roma, che vince poco - pochissimo direi - ma da sempre ho orientato la mia visione del calcio sullo spettacolo che questi è capace di offrire. A quello che può dare anche senza un campionato o una coppa vinta. Mi annoio quando una gara annoia. Non ci posso far nulla. Mi sono divertito di più con la Roma di Totti e Cassano senza trofei che con l'Italia vincitrice del mondiale del 2006. Neymar, per tornare a lui, rappresenta questa filosofia: il fuoriclasse che rende felici le persone che hanno pagato il biglietto. Devo essere sincero ne ho visti tanti di fenomeni, ce ne sarebbero e un giorno ne parliamo, ma come questo calciatore pochi. Eppure Maradona l'ho visto giocare, Ronaldo il fenomeno anche. Messi in tv. Ronaldinho mi piaceva molto non c'è dubbio. Mi piaceva Zidane, anche più di Totti. Ecco l'ho detto. Il Brescia di Roberto Baggio era fantastico. Non ha vinto niente, ma aveva una magia. Un perché. Il Brasile sempre. Tranne quello del '94 eppure ha vinto la Coppa del Mondo. Romario era accettabile, Bebeto era improponibile. Altra storia il Brasile 1982. L'Italia fantastica li ha battuti 3-2. Un sogno. Quel Brasile aveva una flotta di centrocampisti assortiti da paura: Socrates, Falcao, Cerezo, Junior, Zico ed Eder. Fate voi che squadrone. Vi invito a guardare Neymar nei particolari. E' furbo. Non subisce facilmente fallo. Gioca la palla a terra e salta 6-7 avversari come birilli. Forte fisicamente al punto da non temere falciate alcune. Uno spettacolo.

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Totò Schillaci, quei 15 minuti che lo hanno consegnato alla storia

 

di PIERANTONIO LUTRELLI

La recente scomparsa di Totò Schillaci ha colpito il cuore di molti, non solo per la sua carriera calcistica, ma per il suo essere una persona normale, un uomo tra la gente, che ha affrontato la malattia in un ospedale pubblico di Palermo. La sua vita, spezzata da un tumore al colon, continua a suscitare emozione e nostalgia, dimostrando che, a volte, le storie più toccanti non appartengono solo ai grandi nomi, ma anche a chi ha saputo conquistare il pubblico con autenticità e umanità. Totò Schillaci non era un fuoriclasse preconizzato. Era un ragazzo di Palermo, un esempio di come lo sport possa rappresentare la via di fuga da una vita di difficoltà e degrado. La sua ascesa nel mondo del calcio è simbolica delle speranze e dei sogni di una generazione intera. Nel 1990, quando il mondiale si svolse in Italia, lo sport e la nazionale rappresentavano un'opportunità di riscatto per molti giovani, e Schillaci si trovò a interpretare un ruolo da protagonista in un momento che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Ricordo con vividezza quei mondiali e l'aspettativa che circondava la nostra nazionale, composta da nomi illustri come Baggio, Vialli e Mancini. Ma fu un'azione inaspettata a cambiare il corso della storia. La gara sembrava avviarsi verso un deludente pareggio con l'Austria, e nei minuti conclusivi, esattamente al 75’, il commissario tecnico Azeglio Vicini decise di scommettere su di lui, gettandolo nella mischia. Bastarono solo 15 minuti per trasformarlo in una leggenda. Vialli crossa dalla destra: un preciso colpo di testa di Totò Schillaci, un gesto semplice, ma carico di significato: 1-0 e l'Italia schiva le polemiche in un mondiale casalingo con un avversario decisamente alla portata. Quella rete non fu solo un gol, ma il simbolo di una vittoria più grande. Totò Schillaci divenne l'orgoglio di una nazione, un eroe per il Sud, per la Sicilia e per tutti coloro che si riconoscevano nella sua storia di riscatto. Con il suo sorriso e la sua spontaneità, riuscì a conquistare i cuori di milioni di italiani. Non era solo un calciatore, ma un rappresentante di una generazione che sognava e credeva che tutto fosse possibile. La sua performance nel torneo fu straordinaria: 6 reti e il titolo di capocannoniere. Ma, al di là dei numeri, ciò che rimane è il ricordo di quei 15 minuti che lo hanno consacrato. Schillaci ha dimostrato che a volte, in un momento di difficoltà, basta un attimo per cambiare il proprio destino, per diventare parte della storia. La sua capacità di empatizzare con il pubblico ha reso il suo nome sinonimo di passione e determinazione. Oggi, mentre piangiamo la sua scomparsa, ricordiamo che Totò non è solo un nome che passa nel silenzio della storia. La sua eredità vive in ogni tifoso, in ogni giovane che sogna di calcare il campo da calcio, in ogni persona che trova conforto e ispirazione nella sua storia. La poesia del calcio e della vita trionfa sul silenzio: Totò Schillaci è e rimarrà sempre vivo nei cuori di tutti noi.

 

Totò Schillaci, quei 15 minuti che lo hanno consegnato alla storia

di PIERANTONIO LUTRELLI

La recente scomparsa di Totò Schillaci ha colpito il cuore di molti, non solo per la sua carriera calcistica, ma per il suo essere una persona normale, un uomo tra la gente, che ha affrontato la malattia in un ospedale pubblico di Palermo. La sua vita, spezzata da un tumore al colon, continua a suscitare emozione e nostalgia, dimostrando che, a volte, le storie più toccanti non appartengono solo ai grandi nomi, in quanto tali, ma a chi ha saputo conquistare il pubblico con autenticità e umanità. Totò Schillaci non era un fuoriclasse preconizzato. Era un ragazzo di Palermo, un esempio di come lo sport possa rappresentare la via di fuga da una vita di difficoltà e degrado. La sua ascesa nel mondo del calcio è simbolica delle speranze e dei sogni di una generazione intera. Nel 1990, quando il mondiale si svolse in Italia, lo sport e la nazionale rappresentavano un'opportunità di riscatto per molti giovani, e Schillaci si trovò a interpretare un ruolo da protagonista in un momento che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Ricordo con vividezza quei mondiali e l'aspettativa che circondava la nostra nazionale, composta da nomi illustri come Baggio, Vialli e Mancini. Ma fu un'azione inaspettata a cambiare il corso della storia. Dopo un deludente pareggio con l'Austria, il commissario tecnico Azeglio Vicini decise di scommettere su di lui, gettandolo nella mischia al 75º minuto. Tre minuti più tardi, al 78º, un cross perfetto di Gianluca Vialli dalla destra trovò Totò pronto a colpire di testa. Un gesto semplice, ma carico di significato: 1-0 e l'Italia era di nuovo in corsa. Quella rete non fu solo un gol, ma il simbolo di una vittoria più grande. Totò Schillaci divenne l'orgoglio di una nazione, un eroe per il Sud, per la Sicilia e per tutti coloro che si riconoscevano nella sua storia di riscatto. Con il suo sorriso e la sua spontaneità, riuscì a conquistare i cuori di milioni di italiani. Non era solo un calciatore, ma un rappresentante di una generazione che sognava e credeva che tutto fosse possibile. La sua performance nel torneo fu straordinaria: 6 reti e il titolo di capocannoniere. Ma, al di là dei numeri, ciò che rimane è il ricordo di quei 15 minuti che lo hanno consacrato. Schillaci ha dimostrato che a volte, in un momento di difficoltà, basta un attimo per cambiare il proprio destino, per diventare parte della storia. La sua capacità di empatizzare con il pubblico ha reso il suo nome sinonimo di passione e determinazione. Oggi, mentre piangiamo la sua scomparsa, ricordiamo che Totò non è solo un nome che passa nel silenzio della storia. La sua eredità vive in ogni tifoso, in ogni giovane che sogna di calcare il campo da calcio, in ogni persona che trova conforto e ispirazione nella sua storia. La poesia del calcio trionfa sul silenzio: Totò Schillaci è e rimarrà sempre vivo nei cuori di tutti noi.

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L'importanza dell'equità finanziaria nella politica elettorale

di PIERANTONIO LUTRELLI - La politica non sia appannaggio esclusivo dei ricchi, ma una vera e propria opportunità per tutti. Purtroppo nella contemporaneità, affrontare una carriera politica di alto livello richiede non solo un impegno significativo, ma anche l'accesso a risorse finanziarie considerevoli per condurre una campagna elettorale efficace. Non vi è dubbio che questa realtà genera una disparità di opportunità che impedisce a individui con grandi idee, ma limitate risorse, di candidarsi per posizioni di rilievo come la carica di sindaco in una grande città o di presidente di una regione. Questa tendenza, in cui la politica sembra essere riservata solo ai ricchi, solleva a mio avviso la necessità di una riforma che assicuri un finanziamento equo per tutti i candidati, consentendo così una partecipazione democratica più inclusiva. La campagna elettorale richiede una serie di attività e risorse, dalle tradizionali manifestazioni pubbliche ai santini elettorali, ai manifesti, fino alle spese per gli eventi e i collaboratori. Tutta una serie di “spese vive”. Orbene, tutto ciò genera un considerevole onere finanziario che non tutti possono sostenere. Questo scenario crea una barriera per l'accesso alla politica per coloro che non dispongono di risorse finanziarie adeguate, limitando la diversità di idee e prospettive che potrebbero arricchire il dibattito politico.
La mia proposta: una legge per l'equità finanziaria dei candidati

Per affrontare questa sfida, sarebbe opportuno che lo Stato introduca una legge che preveda l'assegnazione di fondi pari per tutti i candidati e rispettive liste collegate documentati in base a criteri definiti. Il quantum assegnato varierebbe a seconda del territorio in cui insiste il bacino elettorale e dal numero di elettori potenziali nella  circoscrizione di riferimento. Questo garantirebbe un livello di equità nella competizione politica, consentendo a candidati con idee innovative e progetti validi di presentarsi al pubblico su un piano di parità. Inoltre, una legge di questo tipo dovrebbe imporre sanzioni penali per coloro che superano i limiti di spesa stabiliti, in modo da prevenire abusi o distorsioni in favore di candidati con maggiori risorse finanziarie.

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Paulo Roberto Falcao: l'artefice del risveglio della Roma negli anni '80

di PIERANTONIO LUTRELLI - Gli anni '80 sono stati un periodo d'oro per il calcio italiano, e per me sono stati gli anni in cui ho iniziato a capire cosa significasse davvero questo sport. Il primo campionato che ho seguito con passione è stato quello del 1980-81, un'annata che ha segnato l'inizio di una nuova era per la Roma, guidata dall'allenatore svedese Nils Liedholm. La Roma, fino all'anno precedente, era sempre stata considerata una squadra di media classifica, ma in quell'anno qualcosa stava per cambiare. La Figc decise di aprire le frontiere, permettendo ai club di acquistare calciatori stranieri. Fu in questo contesto che la Roma si distinse, acquistando il brasiliano Paulo Roberto Falcao, un giocatore relativamente sconosciuto in Europa, ma che gli astuti osservatori della Roma - guidata dal grande presidente Dino Viola -avevano individuato in Brasile. Ed è proprio a lui che dedico questo post in occasione del suo settantesimo compleanno, avvenuto lo scorso 16 ottobre. Falcao aveva 27 anni, ma un'esperienza da veterano e una classe immensa. Nel centrocampo, conferiva sicurezza a tutta la squadra e in poco tempo divenne l'uomo di fiducia dell'allenatore. "È Falcao che dirige l'orchestra in campo. Io, al massimo, qualche volta gli scrivo la musica o arrangio lo spartito seguendo certe idee", diceva a quei tempi il compianto Liedholm, rendendo molto bene l'idea. Era un calciatore completo: ambidestro, forte di testa, dotato di grandi doti nel dribbling, ottimo controllo di palla. Sapeva proteggere la difesa facendo il difensore aggiunto ed allo stesso tempo attaccare. Aveva visione di gioco e capacità di finalizzare goal importanti. Indossava la maglia numero 5, un numero solitamente assegnato agli stopper, ma lui, che non era uno stopper, l'aveva scelto come suo distintivo personale. Dimostrando anche qui di essere molto avanti con i tempi. Ancora oggi, quando vedo un calciatore della Roma con la maglia numero 5, mi emoziona pensare che quella sia stata la maglia di Falcao. Il calciatore brasiliano di Porto Alegre fu così abile nel cambiare la mentalità della squadra e nel farla crescere, che la Roma iniziò subito a lottare per lo scudetto, e ci riuscì quasi. Fu solo per un goal annullato di Turone che la Juventus riuscì a sancire la sua vittoria, poiché nello scontro diretto alla penultima giornata di campionato la partita finì a zero a zero tra le polemiche che non si placano nonostante siano passati 43 anni. A fine stagione, la Juve terminò con 44 punti e la Roma con 42 punti. Falcao si era guadagnato l'appellativo di "Ottavo Re di Roma" e aveva infuso un grande entusiasmo in tutta la città. Per lo scudetto bisognerà attendere il 1983, ma la cosa che più mi ha colpito è che quando lui era in campo, tutti noi bambini che tifavamo per la squadra, ci sentivamo parte di qualcosa di più grande. Era un qualcosa che andava oltre il calcio. Aveva il sapore del riscatto. Vincere in maniera non facile, non scontata, ha un sapore molto più importante di quando si è abituati a vincere sempre e a vincere facilmente. Fu proprio da bambino seguendo la Roma che mi accorsi di non essere "vincentista". Paulo Roberto Falcao era il rappresentante di un mondo povero veniva da quel sud del mondo, ma aveva saputo riscattarsi e portare una squadra non abituata a vincere sul tetto d'Italia e d'Europa.

Il “goal” di Turone

10 maggio 1981, allo Stadio Comunale di Torino va in scena Juventus-Roma. Alla vigilia della gara, la Juve è in testa alla classifica con un punto di vantaggio sulla Roma. La sfida è intensa. L'arbitro Bergamo dimostra fermezza sembra immune da pressioni psicologiche, tanto che al 17º minuto della ripresa espelle Furino, mediano di origini siciliane, solito a entrare con eccessiva durezza. Pochi minuti dopo, l'appuntamento che passa alla storia: Conti-Pruzzo-Turone che di testa anticipa Falcao: gol della Roma, capovolgimento in vetta alla classifica. Bergamo convalida il gol e indica verso il centrocampo con il braccio destro, ma il suo sguardo incrocia la bandierina del guardalinee Sancini che annulla la rete. La Juve si aggiudicherà il campionato, con la Roma che si classificherà - come detto sopra- soltanto seconda a due punti di distanza.

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Giorgia Meloni: Un plauso alla determinazione e al coraggio della premier

di PIERANTONIO LUTRELLI - Giorgia Meloni, la prima donna nella storia della Repubblica Italiana a ricoprire la carica di premier, merita un plauso per la sua determinazione e il suo coraggio nel prendere una decisione difficile nella sua vita personale: dichiarare finita la relazione con il giornalista milanese Andrea Giambruno padre di sua figlia Ginevra di 7 anni. Nonostante le sue umili origini e le sfide che ha affrontato lungo il suo percorso, Meloni ha dimostrato di essere una figura di grande risolutezza. Come quando disse a Berlusconi “Non sono ricattabile”. In un mondo dove spesso le figure politiche si nascondono dietro le convenzioni e le apparenze, Meloni si distingue per la sua autenticità e la sua volontà di affrontare le difficoltà senza paura. La sua carriera politica è un esempio di come la determinazione e il decisionismo possono portare a risultati straordinari. Nonostante le limitazioni economiche e la mancanza di opportunità che caratterizzavano la sua famiglia di origine (ha iniziato a lavorare presto e non ha fatto l’università, pur essendo la prima della classe nei 5 anni di Liceo linguistico frequentati) Meloni è riuscita a diventare la leader del suo partito, Fratelli d'Italia, vincendo la competizione interna e portandolo a diventare il primo partito della coalizione di centrodestra diventata maggioranza di governo. Il suo ingresso a Palazzo Chigi è stato infatti il risultato di un percorso di successo basato su una visione politica forte e una volontà incrollabile. Nonostante le critiche e le sfide, Meloni ha dimostrato di non essere ricattabile, come ha ribadito in passato, e ha fatto della sua determinazione una caratteristica centrale della sua leadership. Ha preso una decisione coraggiosa nella sua vita privata, decidendo di lasciare il suo compagno. Questa scelta è stata accompagnata da infelici episodi fuori onda di cui Giambruno – giornalista Mediaset – si è reso protagonista durante le pause del suo programma che conduceva (già conduceva) su Rete4. Questi fuori onda sono stati registrati e riproposti dal programma anch’esso in onda sulle reti Mediaset, in questo caso Canale5, Striscia la notizia. Nonostante il dolore e la difficoltà che questa situazione comporta, Meloni ha deciso di affrontare pubblicamente la vicenda, mostrando la sua coerenza. Al di là delle opinioni politiche, è importante riconoscere la forza e il coraggio di Giorgia Meloni nel prendere una decisione difficile. Proprio per queste ragioni la sua determinazione nel perseguire i suoi obiettivi politici e il suo coraggio nel fronteggiare le sfide personali sono meritevoli di plauso.

 

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La politica non dovrebbe essere una professione

di PIERANTONIO LUTRELLI - Nel contesto politico attuale, emerge una critica che mette in discussione l'idea che l'impegno politico debba coincidere con la vita fisica di un individuo. Questo articolo mira a esplorare tale questione, sottolineando la necessità di un rinnovamento per promuovere il coinvolgimento di nuove figure nella sfera politica.

La distinzione tra vita politica e vita fisica:

Spesso si assiste a una mentalità secondo cui coloro che intraprendono un impegno politico debbano dedicare l'intera loro vita a tale scopo diventando dei veri e propri professionisti della politica. Tuttavia, è importante comprendere che l'impegno politico può e dovrebbe essere distinto dalla vita fisica. La politica richiede competenze, idee e passione, ma non necessariamente deve coincidere con l'intera esistenza di un individuo. Purtroppo pensando a questo concetto a tutti noi vengono in mente tanti nomi di persone che si ergono ad "indispensabili" nella costruzione del dibattito, nella vita dei partiti e di conseguenza nelle istituzioni. 

Il ruolo dei partiti politici:

I partiti politici hanno un'influenza significativa nella selezione dei candidati per le elezioni e nella formazione delle liste. Tuttavia, se all'interno di questi partiti si verificano dinamiche che promuovono solo le stesse persone, si rischia di limitare l'ingresso di nuove e innovative figure politiche. Se l'offerta è sempre variegata tra quei dirigenti che mutano forma e colore, ma che sono presenti da anni, anche gli elettori prima o poi si stancano o meglio dovrebbero. Perché questo andazzo può scoraggiare gli individui motivati dal partecipare attivamente alla politica, poiché non vedono un ambiente favorevole al loro coinvolgimento. Gli elettori sono inclini al cambiamento e lo hanno spesso dimostrato, bensì sono più refrattari nel procurarselo, per il discorso già fatto, visto che nell'organismo decisionale stanno grossomodo al di fuori. Eppure, prendendo ad esempio il Pd, qualcosa la vicenda ultima della vittoria di Elly Schlein alla segreteria nazionale, dovrebbe averla insegnata: si è registrata una difformità di consenso tra gli iscritti al partito e la gente all'esterno, elettori o potenziali tali. Già, perché restano solo potenziali alle elezioni vere, quando tra la busta "A", "B" o "C" è sempre la stessa solfa. 

La necessità di un rinnovamento politico:

Per garantire una politica dinamica e rappresentativa, è fondamentale pertanto promuovere il rinnovamento della classe dirigente. Ciò implica l'apertura a nuove idee, la valorizzazione di competenze diverse e l'incoraggiamento di persone motivate a entrare nel mondo della politica. Dobbiamo però superare l'idea che l'impegno politico debba coincidere con la vita fisica, in modo da attrarre e coinvolgere una gamma più ampia di talenti e prospettive. Quando vedo le stesse proposte da anni dico tra me e me: "se questa persona avesse avuto qualcosa da dare in termini di idee e contributi fattivi, ha già abbondantemente avuto la sua occasione per farlo". 

La mancanza di diversità e innovazione:

L'assenza di un rinnovamento politico può portare a una stagnazione delle idee e delle politiche. Quando le stesse persone occupano le posizioni di potere per un lungo periodo di tempo, si rischia di limitare il progresso e l'evoluzione. La politica ha bisogno di una costante infusione di nuove energie, prospettive e soluzioni innovative per affrontare le sfide che la società impone. Se oggi i ragazzi di vent'anni sono lontani dalla partecipazione politica, il motivo a mio avviso,  è dato anche anche dalla presenza troppo paludata dei protagonisti della scena politica attuale. Se i giovani ascoltano più i messaggi "politici" provenienti dai rapper, qualche interrogativo bisognerà pur porselo. 

 

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Gianni Rivera: dall'attacco alla Difesa

Un mito vivente del calcio italiano prestato alla politica 

 

di PIERANTONIO LUTRELLI - Gianni Rivera, il grande giocatore del Milan e della nazionale italiana, è una leggenda vivente del calcio italiano. Ha giocato nei rossoneri dal 1960 al 1979 anno in cui vinse lo scudetto della stella con l’allenatore Nils Liedholm. Nato ad Alessandria il 18 agosto 1943 ha da poco compiuto 80 anni. Cresciuto nell'oratorio di Alessandria, per questa ragione venne soprannominato "l'abatino" dal grande giornalista Gianni Brera. Rivera, vero "golden boy" del calcio anni 60-70 ha lasciato un'impronta indelebile nel calcio con la sua carriera di successi e il suo talento unico. Nel 1969, è stato il primo calciatore italiano ad aver conquistato il prestigioso Pallone d'Oro, riconoscimento riservato al miglior calciatore dell'anno. Con il Milan, Rivera ha vinto tutto: tre scudetti, quattro Coppe Italia, due Coppe dei Campioni, due Coppe delle Coppe ed un'Intercontinentale. Con la nazionale italiana divenne Campione d'Europa nel 1968 e secondo ai Mondiali del 1970, contro il Brasile di Pelé che ci battè 4-1. In quel Mondiale Rivera è stato il 12^ giocatore, (ruolo che solitamente si dà idealmente al pubblico): la formazione che scendeva in campo dall'inizio era composta da Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti e Riva. Rivera sempre pronto a subentrare nel secondo tempo. Quello con l’allenatore Ferruccio Valcareggi fu un rapporto a tratti tormentato. Solitamente lo utilizzava in staffetta con l’interista Sandro Mazzola.Tra i due grandi campioni c’era un’accesa rivalità che dai derby di San Siro fini inevitabilmente anche in nazionale. Valcareggi, sgombrando il campo da equivoci, è proprio il caso di dirlo, da subito precisò che i due non avrebbero mai potuto giocare insieme. Dalla decisione di alternarli un tempo ciascuno nacque così la celebre staffetta. Ma in quella finale staffetta non fu. Accadde invece qualcosa di clamoroso: Rivera fu impiegato soltanto nei 6 minuti finali. Ne nacquero polemiche accesissime. L’Italia divisa in due. Tra mazzoliani e riveriani. Anche se quel mondiale verrà associato per sempre a Rivera autore del mitico goal del 4-3 contro nel corso della semifinale contro la Germania, marcando la rete al 43º minuto dei tempi supplementari, che garantì all'Italia il pass per la finale a Città del Messico. Ma la carriera di Rivera non si è limitata al campo da gioco. Dopo il ritiro, ha avuto una seconda vita nel mondo del calcio come dirigente del Milan, di cui è stato il vicepresidente. Ma la sua influenza si è estesa anche in politica, dove ha ricoperto l’incarico di deputato dal 1987 al 2001. Quattro legislature in 14 anni. Nell’ultima esperienza parlamentale ha ricoperto anche il ruolo sottosegretario alla Difesa nei governi di Prodi e D'Alema. Nel 2005 è subentrato a Mercedes Bresso al Parlamento europeo terminando la legislatura nel 2009. Tanti i partiti politici di Rivera, tutti nell’orbita di centro e centrosinistra. Non ha mai legato con Berlusconi, tanto che rispetto a Forza Italia Gianni è stato sempre dall’altra parte. Nonostante la sua personalità schiva, Rivera è un personaggio carismatico che ha lasciato un segno incommensurabile nel mondo del calcio. Era un fuoriclasse. La sua abilità nel dribbling in un gioco che sicuramente era più lento a quei tempi rispetto ad oggi, la grande tecnica e padronanza con la palla, la sua visione di gioco, la capacità di far goal, lo stile raffinato e la sua presenza longeva lo hanno reso un giocatore straordinario e amato da tutti i tifosi.

 

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Nel nome di Verona, si intrecciano le storie di Tommasi e Volpati. Ex calciatori, uno è sindaco, l'altro medico dentista

di PIERANTONIO LUTRELLI - Verona, una città ricca di storia e di storie che si intrecciano. In questa affascinante cornice, due nomi emergono come simboli di integrità e talento: Damiano Tommasi e Domenico Volpati. Nonostante le loro diverse sfere d'azione, e la diversa generazione, entrambi rappresentano l'eccellenza e l'impegno sia durante la vita da calciatori e sia dopo. Domenico Volpati, nato a Novara il 19 agosto 1951 ha giocato nell’Hellas Verona dal 1982 al 1988. Ha lasciato un segno indelebile nel calcio veronese, ovviamente e soprattutto grazie al fatto che è stato tra i vincitori dello scudetto nel 1985. Era il mitico Verona allenato da Osvaldo Bagnoli che predicava catenaccio e verticalizzazioni improvvise che davano vita a contropiedi micidiali. A vittorie inaspettate. In quell’anno tutti fecero i conti con il Verona. Erano gli anni del libero staccato dietro la difesa. Erano gli anni in cui il calcio aveva ancora il sapore nostrano della fatica e della normalità. Il calcio che sfornava fuoriclasse all’oratorio e nei campi sterrati della provincia italiana. In questo contesto il nostro Volpati ha mostrato una dedizione inesauribile verso il calcio. Nonostante fosse già un veterano a 34 anni, ha vinto lo scudetto con la squadra scaligera, dimostrando che l'età è solo un numero quando si è guidati dalla passione e dalla determinazione. La sua presenza in campo era sinonimo di esperienza e saggezza, un faro per i giovani talenti che lo circondavano. E in quegli anni, a 34 anni si era dei “vecchietti” a fine carriera. Volpati aveva forza ed energia. Era un mediano difensivo senza pretese apparentemente, ma invece si fece valere. A differenza di molti ex calciatori non ha avuto uno sbocco nel mondo del calcio. Ha invece deciso di laurearsi in medicina, e poi specializzandosi in odontoiatria, si è trasferito a Termeno in provincia di Bolzano dove per 28 anni ha svolto l'attività di dentista fino al 2019. Ma un medico lo è per tutta la vita. Così nel 2021, vista la necessità di medici vaccinatori per la pandemia in atto, ha ripreso volontariamente il servizio presso il centro vaccinale sul Lago di Tesero. Damiano Tommasi, invece, ha lasciato il suo segno sia nel mondo del calcio che nella sfera politica. Nato a Negrar di Valpolicella il 17 maggio 1974 a 12 Km da Verona, dopo una brillante carriera da calciatore, coronata dal titolo di campione d'Italia con la Roma nel 2001, ha deciso di intraprendere una nuova sfida: la politica. Il suo impegno e la sua dedizione lo hanno portato nel 2022 a sconfiggere con il 53% dei voti al ballottaggio, il sindaco uscente Federico Sboarina, avversario di centrodestra nelle elezioni comunali di Verona, diventando a sua volta il sindaco della città. La sua integrità e la sua passione per il servizio pubblico sono un esempio per tutti coloro che credono nel potere del cambiamento e dell'onestà. In precedenza, aveva svolto il ruolo di presidente nazionale dell’Associazione Italiana calciatori, carica detenuta per molti anni dal mitico Sergio Campana. Tommasi nel campionato 2000-2001, quello dello scudetto con Fabio Capello, fece una stagione strepitosa. Fu il migliore della Roma per rendimento, correva, rubava palloni, costruiva, faceva goal, assist, spogliatoio, gruppo e tutto questo con la serietà che in un ragazzo di 27 anni sorprendeva. Un ragazzo pulito. Una persona che al solo guardarlo in faccia ti ispirava fiducia. Di quelli a cui lasceresti le chiavi di casa senza pensarci due volte appena lo conosci. Di quelli che pur potendosi permettere tutto ha mantenuto i piedi per terra. E oggi alla soglia dei cinquant’anni è un marito e un padre premuroso con i suoi sei figli. Soprattutto un sindaco attento. Nella terra di Zaia, in cui la Liga è fortissima, solo una persona brava e famosa come il Damiano romanista poteva far vincere il centrosinistra alle comunali. Bella storia. Se da sindaco mostra la stessa correttezza e serietà che ha adottato in campo, i cittadini possono dormire sonni tranquilli. Volpati e Tommasi, Domenico e Damiano, due ragazzi della provincia italiana che nella vita hanno dimostrato che pur amando il calcio visceralmente, si possa andare oltre e servire il prossimo con onestà e versatilità anche in altri ambiti. In entrambi questi uomini, l'impegno, la dedizione, l'integrità e il rispetto sono cardini fondamentali della loro esistenza. Sia Volpati che Tommasi hanno dimostrato di essere non solo grandi talenti nelle rispettive aree di competenza, ma anche persone di grande umanità e generosità. Entrambi hanno messo il loro talento e la loro passione al servizio della comunità. Tante similitudini fra i due: Volpati non è di Verona ma ha vinto lo scudetto a Verona, Tommasi che è di Verona ha vinto lo scudetto a Roma, ma a Verona è tornato a fare il sindaco. Due bravi ragazzi talentuosi e di fatica, seri e rispettosi del prossimo, persone perbene e vere perle della storia del nostro calcio. In una sola parola: un esempio.

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Una prospettiva critica sulla spesa per armamenti e la necessità di garantire cure gratuite, efficaci e tempestive

L’iniziativa rientra nel primo programma di riarmo scaturito dal conflitto in Ucraina e, allo stesso tempo, recependo la richiesta della Nato di aumentare le spese militari per la difesa. L’ammontare totale del valore dell’acquisto è stimato in 6 miliardi di euro

di PIERANTONIO LUTRELLI - In un periodo in cui la spesa pubblica e l'allocazione delle risorse sono argomenti di grande importanza, emerge un dibattito sempre più acceso sulla priorità che il governo dovrebbe attribuire tra difesa nazionale e tutela della salute dei cittadini, specialmente quelli meno abbienti. È indubbio che la difesa del Paese sia un obbligo primario per un governo, ma dovrebbe forse essere ancor più prioritario garantire cure gratuite, efficaci e tempestive per i propri cittadini. La notizia che il governo spenderà sei miliardi di euro (nel 2024 saranno inizialmente stanziati 4 miliardi) per l'acquisto di carri armati 'tank' tedeschi denominati “Leopard 2” ha sollevato diverse domande. Alcuni si chiedono se sia giusto destinare una somma così consistente per armamenti, mentre le risorse per la sanità sono spesso insufficienti. È un interrogativo che merita una riflessione approfondita. La salute dei cittadini è un bene fondamentale per il benessere di una nazione. Non è raro vedere persone che rinunciano alle cure odontoiatriche o che devono attendere per lunghi periodi prima di ottenere visite mediche necessarie. Queste situazioni possono aggravare lo stato di salute di chi già si trova in difficoltà e creare ulteriori disuguaglianze sociali. In un contesto in cui le risorse nazionali sono limitate, è fondamentale che il governo si dia delle priorità chiare. La difesa nazionale è certamente un aspetto cruciale, ma dovrebbe essere bilanciata con un impegno altrettanto forte nella tutela della salute dei cittadini. Un sistema sanitario efficiente ed equo è essenziale per garantire una società sana e prospera. Inoltre, è importante considerare gli investimenti a lungo termine. Mentre gli armamenti possono offrire un senso di sicurezza immediata, gli investimenti nella salute possono portare a un miglioramento generale del benessere della popolazione e della sua produttività. Infatti, a mio avviso, cure gratuite, efficaci e tempestive possono prevenire complicazioni mediche, ridurre i costi a lungo termine e consentire alle persone di vivere vite più sane e produttive.

 

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Sondaggio sulle intenzioni di voto in Italia: quando le cose non sono come sembrano

di PIERANTONIO LUTRELLI - Un recente sondaggio condotto da Euromedia Research per Porta a Porta del 3 ottobre scorso, rilanciato da La7, ha rivelato i dati sulle intenzioni di voto in Italia.  Vediamo nel dettaglio cosa – a parer mio - indica il grafico con i risultati delle intenzioni di voto che sono i seguenti:

 

- FDI: 28,0%

- PD: 19,4%

- M5S: 17,0%

- LEGA: 9,6%

- FI: 6,9%

- AZIONE: 4,1%

- ITALIA VIVA: 3,3%

- VERDI-SINISTRA: 3,0%

- +EUROPA: 2,5%

- PER L'ITALIA CON PARAGONE: 2,4%

 

Non vi è dubbio che gli ultimi anni il leaderismo esasperato all’interno dei partiti ha portato alla personificazione degli stessi, legando inevitabilmente il proprio destino a colui o colei che ne guida le sorti. Giocoforza sono i segretari che nel bene o nel male influiscono sul gradimento e sui sondaggi. Volendo fare una panoramica dello stato di salute dei partiti, tutta personale - sondaggio a parte – non posso prescindere dal fare una premessa: nel sondaggio in questione il 40% del campione individuato ha preferito non esprimersi. Una buona minoranza qualificata degli italiani non sa per chi votare, o peggio, se andare a votare. Avere il l’X% tra il 60% degli italiani è a mio avviso poca cosa. Soprattutto quando si parla di una sola cifra. Eppure, la retorica autoreferenziale ci fa ascoltare frasi come “gli elettori hanno scelto il cambiamento” oppure “gli elettori ci hanno premiato”. Quasi sempre parliamo della minoranza degli elettori totali. Di vittorie nette a furor di popolo ne ho viste solo due negli ultimi anni: quella di Zaia in Veneto e di De Luca in Campania. Due governatori con maggioranze solide tali da assorbire anche sacche di astensionismo. Iniziando dal Movimento 5 stelle, saldamente al terzo posto nel Paese, seppur ben lontano dal 32% delle Politiche del 2018, va detto che Conte che da tempo corre sulla corsia di sorpasso in attesa di soffiare al Pd di Elly Schlein il secondo posto nell’arco costituzionale dietro Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che è ancorata al primo posto, e – sempre stando al sondaggio – è a capo della coalizione di centrodestra con il 44,5% del 60% dei voti sul campione intervistato. Ovvio che i sondaggi sono indicativi e lungi da me non voler attribuire agli stessi un valore scientifico, però andrei piano nelle valutazioni assolute. Tornando a Conte e Schlein, su molti temi non vedo differenze anche se, a ragion del vero all’interno del Pd molti esponenti non radicali accettano la linea senza condividerla. Perché si sa che il segretario fa le liste. Sempre il segretario designa ministri e sottosegretari nei governi a larghe intese, che a volte piombano quasi apparentemente come un fulmine a ciel sereno sulla legislatura. La sensazione è che Fratelli d’Italia cresca erodendo classe dirigente a vari livelli ad altri partiti di centrodestra. La segretaria che fa la premier, Giorgia Meloni, è identificata come unico volto del partito. Inimmaginabile un’altra performance uguale senza di lei nel futuro. Forza Italia senza Berlusconi ne continua il ricordo con gigantografie, ologrammi e tanto di cognome nel simbolo. A Paestum abbiamo assistito a selfie di militanti con la sua gigantografia mentre si è registrata una scarsa richiesta di selfie con i dirigenti presenti. Della serie Silvio è ancora una spanna avanti a tutti. Italia viva è praticamente solo Matteo Renzi. Il piccolo partito di centro sopravvive grazie a lui. È proprio l’ex premier toscano ad averlo inventato a sua immagine. Eppure, televisivamente fa più audience di chi prende più voti di lui. Azione invece, a mio avviso senza Calenda potrebbe addirittura migliorare. Vedrei bene alla guida Mara Carfagna. È mediatica al punto giusto ed è capace di dialogare con il Sud e con le donne. La Lega ha una leadership con Salvini più debole che mai. Non vorrei essere nei suoi panni al solo pensiero che alle prossime Europee di giugno 2024 nel tabellone comparativo con il 2019 avrà un bel segno meno davanti rispetto al 34% ottenuto quattro anni e mezzo fa.

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Il calcio come veicolo di socializzazione, riscatto e unione nazionale: l'arte cinematografica di Paolo Sorrentino e l'esultanza di Sandro Pertini

di PIERANTONIO LUTRELLI - Il calcio rappresenta un grande veicolo di socializzazione, riscatto e unione nazionale. Va oltre il rettangolo di gioco. Molto oltre. Finisce ovunque. Anche al cinema di qualità. Basti pensare a Paolo Sorrentino, regista napoletano e grande tifoso di Maradona, che ha dedicato il suo film del 2021 "È stata la mano di Dio" al leggendario calciatore argentino. Questa pellicola, presentata alla 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, racconta la storia di una giovane promessa del calcio napoletano e celebra l'importanza del calcio nella vita delle persone. Il calcio è immenso. Basta ricordare che un momento significativo che ha dimostrato il potere di questo sport di unire il popolo italiano è stata la vittoria della Nazionale italiana nel Mondiale del 1982. Durante la finale al Santiago Bernabeu di Madrid, il Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, un ex partigiano e uomo di sinistra, ha esultato con entusiasmo per la vittoria dell'Italia per 3-1 contro la Germania. Quel gesto ha dimostrato come il calcio possa superare le differenze ideologiche e creare un senso di unità nazionale. Il calcio non è solo una distrazione, ma un mezzo di socializzazione e riscatto. Durante le grandi competizioni internazionali, come i Mondiali, le persone di diverse estrazioni sociali e politiche si ritrovano unite nello stesso entusiasmo e nella stessa passione per la propria nazionale. Questo sport è in grado di superare le divisioni e creare un senso di appartenenza e solidarietà. Tornando a Sorrentino, con la sua abilità cinematografica, ha catturato l'essenza di questa passione calcistica e ha trasferito emozioni profonde attraverso il suo film. Ha dimostrato come il calcio possa essere un veicolo di riscatto e unione, celebrando l'eredità di Maradona e il suo impatto sulla società e sul calcio italiano. Non vi è dubbio alcuno che il calcio rappresenta molto più di uno sport. Il film di Paolo Sorrentino "È stata la mano di Dio" e l'esultanza di Sandro Pertini nel Mondiale del 1982 sono esempi di come il calcio possa superare le barriere sociali e politiche, unendo le persone in momenti di gioia e coesione nazionale.

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Il potere del segretario nazionale: il sistema elettorale italiano e la mancanza di autonomia alla base dei partiti

di Pierantonio Lutrelli - Negli ultimi anni, è emerso un fenomeno preoccupante all'interno dei partiti politici italiani: la tendenza a evitare di scontentare il segretario nazionale. Questo accade perché coloro che si mettono contro il leader rischiano di essere esclusi dalle future candidature. Questo sistema ha radici profonde nel contesto elettorale italiano, caratterizzato da liste bloccate senza preferenze e collegi uninominali, dove il potere decisionale si concentra principalmente nelle mani dei leader e della capitale, Roma. Dall'entrata in vigore del sistema elettorale attuale nel 2006, (da Porcellum a Rosatellum cambia solo la quota marginale dei collegi) la voce dei cittadini all'interno dei partiti politici è stata notevolmente ridimensionata. La base ha poco o niente potere decisionale sulle scelte e sulle candidature, mentre i leader nazionali e i vertici dei partiti hanno il controllo quasi totale sul processo decisionale. Questa situazione solleva una serie di interrogativi sul funzionamento della democrazia interna ai partiti. Sebbene sia importante che i partiti siano organizzati e guidati da una leadership forte, è altrettanto fondamentale garantire la partecipazione attiva dei membri e la possibilità di influenzare le decisioni. Tuttavia, nel sistema attuale, la voce dei membri di base viene spesso soffocata da una cultura di conformità e obbedienza nei confronti del segretario nazionale. La ragione principale per cui questo sistema è ben accetto da tutti è la mancanza di incentivi per cambiare. I vertici dei partiti, inclusi i segretari nazionali, beneficiano enormemente da un sistema che consolida il loro potere e limita la concorrenza interna. Il mantenimento dello status quo garantisce loro un controllo stabile e una maggiore sicurezza nelle future elezioni. Tuttavia, questa situazione limita la rappresentatività dei partiti e sminuisce il ruolo dei membri di base. L'assenza di meccanismi di selezione democratica per le candidature può portare a una mancanza di diversità e ad una scarsa rappresentanza dei vari interessi all'interno dei partiti. Ciò può indebolire la democrazia interna e minare la fiducia dei cittadini nella politica. Per superare questa situazione, sarebbe necessario un cambiamento radicale nel sistema elettorale italiano, con l'introduzione di meccanismi di selezione delle candidature più inclusivi e trasparenti. Inoltre, sarebbe importante promuovere una cultura politica che valorizzi la partecipazione attiva dei membri di base e incoraggi la diversità di opinioni e la competizione interna. Il sistema elettorale italiano, con le sue liste bloccate senza preferenze e i collegi uninominali, contribuisce a creare un ambiente in cui i membri dei partiti tendono a evitare di scontentare il segretario nazionale per non compromettere le proprie opportunità di candidatura. Ciò limita la democrazia interna e la rappresentatività dei partiti, e richiede un dibattito approfondito sulla necessità di riforme per garantire una maggiore partecipazione e un sistema politico più inclusivo. 

 

 

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Perché Neymar per me è il Numero 1

di PIERANTONIO LUTRELLI - Un calciatore deve infiammare il pubblico. Neymar ne è capace. Tutti noi quando abbiamo iniziato a giocare a calcio abbiamo sempre ammirato i più bravi tecnicamente. Quelli capaci di dare del tu alla palla. Chiaro che il calcio è un gioco collettivo. I tanti interessi economici che vi ruotano intorno impediscono a volte di prediligere aspetti romantici. A me piace immaginare un calcio che forse non esiste più. Non importa. Contano i risultati di bilancio. Le bacheche. Le vittorie. Certo. Al pubblico che corre allo stadio o si abbona alle payTv nessuno ci pensa. I tifosi esultano e festeggiano solo se si vince. Legittimo. Sarà che sono tifoso di una squadra, la Roma, che vince poco - pochissimo direi - ma da sempre ho orientato la mia visione del calcio sullo spettacolo che questi è capace di offrire. A quello che può dare anche senza un campionato o una coppa vinta. Mi annoio quando una gara annoia. Non ci posso far nulla. Mi sono divertito di più con la Roma di Totti e Cassano senza trofei che con l'Italia vincitrice del mondiale del 2006. Neymar, per tornare a lui, rappresenta questa filosofia: il fuoriclasse che rende felici le persone che hanno pagato il biglietto. Devo essere sincero ne ho visti tanti di fenomeni, ce ne sarebbero e un giorno ne parliamo, ma come questo calciatore pochi. Eppure Maradona l'ho visto giocare, Ronaldo il fenomeno anche. Messi in tv. Ronaldinho mi piaceva molto non c'è dubbio. Mi piaceva Zidane, anche più di Totti. Ecco l'ho detto. Il Brescia di Roberto Baggio era fantastico. Non ha vinto niente, ma aveva una magia. Un perché. Il Brasile sempre. Tranne quello del '94 eppure ha vinto la Coppa del Mondo. Romario era accettabile, Bebeto era improponibile. Altra storia il Brasile 1982. L'Italia fantastica li ha battuti 3-2. Un sogno. Quel Brasile aveva una flotta di centrocampisti assortiti da paura: Socrates, Falcao, Cerezo, Junior, Zico ed Eder. Fate voi che squadrone. Vi invito a guardare Neymar nei particolari. E' furbo. Non subisce facilmente fallo. Gioca la palla a terra e salta 6-7 avversari come birilli. Forte fisicamente al punto da non temere falciate alcune. Uno spettacolo.

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